Jacques Fesch (1930-1957) (2/2)
La conversione di un condannato a morte (2/2)
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In prigione, la conversione di Jacques fu preparata da tre persone che parlarono con lui per lunghe ore: il suo avvocato (un ex omosessuale anche lui convertitosi), il cappellano del carcere e un monaco benedettino, con il quale scambiò molte lettere. La lettura delle apparizioni di Fatima fu per lui una rivelazione. Dopo un anno di detenzione, il giovane, sopraffatto dalla sofferenza, cadde in ginocchio. Nella notte del 1° marzo 1955 chiamò e gridò aiuto. Una voce interiore lo esorta a convertirsi. Improvvisamente, da quel giorno, praticherà l'ascesi e vivrà come un monaco nella cella : « Per la prima volta ho veramente la certezza di cominciare a vivere. Ho la pace e un senso alla mia vita, mentre non ero che un morto vivente. […] Si acconsente al male per anni e non succede nulla! Senza rendercene conto, la nostra libertà diminuisce e la volontà si atrofizza. » Pieno di sensi di colpa verso la famiglia del poliziotto che, essendo vedovo,aveva lasciato un orfano di quattro anni, manifesta la sua volontà di pentimento e di redenzione : « Quanto male ho fatto intorno a me con il mio egoismo e la mia incoscienza! Possa il mio sangue, che sta per scorrere, essere accettato da Dio come un completo sacrificio ». Così, l'uomo in centinaia di appunti compone il racconto della sua conversione a Cristo, dei suoi momenti di pienezza e delle notti mistiche con una terribile angoscia. Ma la grazia lo inonda : « In una cella, Cristo parla forse più distintamente che altrove ».
Inizia il processo, che durerà tre giorni, davanti alla Corte d'assise di Parigi. Jacques scagiona i suoi due complici, che vengono rilasciati. Lo scopo del processo non è stabilire i fatti o la colpevolezza, poiché Jacques Fesch ha ammesso tutto, ma piuttosto definire la sua personalità. Trattandosi di una « giacca dorata », come si diceva all'epoca per indicare la gioventù privilegiata e decadente, il processo attirò l'attenzione dei media e dell'opinione pubblica. Il procuratore generale concluse di aver cercato nel fascicolo elementi a favore dell'imputato, senza trovare altro che un imbecille, un gaudente, un ladro, un assassino. Dopo un'ora e un quarto di deliberazioni, il 6 aprile 1957, giorno del suo ventisettesimo compleanno, la giuria della corte d'assise lo condannò a morte senza circostanze attenuanti. La richiesta di grazia al Presidente della Repubblica René Coty fu respinta.
« Gesù mi ha preso sulle sue spalle. Invece di morire stupidamente, potrò offrire la mia morte per tutti coloro che amo. »
Jacques Fesch
Jacques si identifica con il buon ladrone. Una voce interiore gli promette che sarà salvato e che riceverà le grazie della sua morte. Nonostante i periodi di oscurità ancora difficili, egli esulta di gioia : « Dio ha preso possesso della mia piccola anima… un velo si è squarciato! Se continuassi a vivere, non potrei mai restare sulle le vette che ho raggiunto. Meglio che muoia. » Alla vigilia della sua esecuzione, completò il suo matrimonio civile con un matrimonio religioso. Trascorse gli ultimi momenti scrivendo ai suoi cari. Fu ghigliottinato all'alba del 1° ottobre 1957, avendo ricevuto l'assoluzione e la confessione, dopo aver trascorso la notte in preghiera. È stata avviata la sua causa di beatificazione.