Lacerazioni dell'unità della Chiesa
Il 20 giugno scorso, Mons. Viganò, ex nunzio a Washington, è stato convocato a Roma dal Dicastero per la Dottrina della Fede nell'ambito di un processo penale. È accusato di aver « [negato] la legittimità di Papa Francesco, [rotto] la comunione con lui e [rifiutato il] Concilio Vaticano II », tutti « elementi necessari per mantenere la comunione con la Chiesa cattolica ».
Mons. Viganò, dopo aver servito la Chiesa « come un grande lavoratore, molto fedele alla Santa Sede » (card. Parolin), ha bruciato ciò che aveva adorato, fino a vedere nel Concilio Vaticano II, secondo le sue stesse parole, « il cancro ideologico, teologico, morale e liturgico di cui la bergogliana chiesa sinodale è necessaria metastasi ». Si pone sulla scia di Mons. Lefebvre, anch'egli critico dichiarato del Concilio che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI non hanno mai smesso di attuare fedelmente. Il santo Papa polacco lo considerava « come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel XX secolo », « una bussola affidabile per guidarci nel cammino del secolo che inizia ».
Inoltre, dieci clarisse di Belorado (diocesi di Burgos) sono state scomunicate dal loro vescovo il 22 giugno per essersi « separate volontariamente », con una dichiarazione pubblica formale, dalla Chiesa cattolica, ed escluse ipso facto dalla vita religiosa. Questa sentenza mira a suscitare la loro conversione.
L'errore comune a Mons. Viganò e queste suore è pensare che la fede e la Tradizione possano esistere al di fuori della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, per quanto possano essere state ferite da alcuni dei suoi membri. Una critica legittima agli errori presenti nella Chiesa non giustificherà mai una rottura formale con essa, cioè il peccato di scisma.